L'ormone dell'amore

Alessandro Manduzio

I nostri animali fanno indubbiamente parte della famiglia, ci prendiamo cura di loro, badiamo alle loro necessità e li accompagnamo in tutte le fasi della loro crescita sia fisica che psicologica. La relazione che si instaura è molto forte, e si svolge su due piani interconnessi, un rapporto di dipendenza sul piano pratico, riferito ai bisogni primari ed un'altro di tipo emotivo, basata su una vero e proprio sentimento di affetto. La domesticazione  è stata certamente un processo lungo e complesso e se i primi cani si sono avvicinati semplicemente per vantaggi reciproci di sopravvivenza, al giorno d'oggi l'amicizia che ci lega è arrivata effettivamente ad un livello ulteriore.

 

In tutto questo tempo umani e cani hanno saputo creare un meccanismo affettivo quasi istintivo molto simile a quello che lega una padre o una madre al proprio figlio. A livello biologico la relazione che si crea viene spiegata con la produzione di un ormone chiamato ossitocina. Conosciuto ai più come "ormone dell'amore", si attiva fra le altre cose, in una relazione di coppia,  per regolare i nostri rapporti sociali oppure nelle relazioni familiari, agendo praticamente sul nostro trarre vero e proprio piacere dall'essere empatici e disponibili verso un parente, partner o semplicemente il prossimo.

Alcuni esperimenti messi in luce dal dipartimento di Scienze biologiche dell'Università di Asabu in Giappone si focalizzano proprio sulla produzione di questo ormone da parte degli umani in presenza dei loro cani e viceversa, tutto collegato incredibilmente al semplice contatto visuale. Per dimostrarlo, questi ricercatori hanno realizzato una serie di esperimenti usando cani di ogni età e razza.

Ogni proprietario è stato messo in una stanza con il proprio compagno peloso giocando e rapportandosi con lui (sguardi, carezze, parole...) per una trentina di minuti, misurando prima dell' esperimento ed alla fine di questo, le variazioni di ossitocina presenti nell'urina. I cani sono stati divisi in due sottogruppi: gruppo A "contatto visivo prolungato" (i proprietari che hanno interagito con un alto grado di coinvolgimento con i cani) gruppo B "contatto visivo breve" (i proprietari che hanno interagito con basso grado di coinvolgimento con i cani). I cani del gruppo A mostravano più comportamenti comunicativi (più attenzioni  più ovviamente gratificazione), e dopo aver giocato per il tempo stabilito, sono stati misurati aumenti ormonali per entrambi i gruppi, picchi maggiori in particolare nel gruppo dove lo scambio di sguardi era durato di più.

 

In un secondo esperimento di verifica di questa tesi, i ricercatori hanno determinato se la somministrazione diretta di ossitocina ai cani potesse prolungare il tempo nel quale lo sguardo era rivolto verso il proprio umano e quindi un successivo aumento naturale e conseguente dell'ossitocina nei proprietari. La somministrazione di questo ormone per via nasale ha aumentato significativamente il tempo in cui le femmine hanno osservato il proprietario, non è avventuta la stessa cosa per i cani maschi, ma è una differenza che si può spiegare solo con una maggiore sensibilità all'ormone applicato in maniera artificiale. Come ci si aspettava ed a conferma della tesi iniziale, nei proprietari  è stato osservato un aumento della concentrazione di ossitocina urinaria. Quindi il secondo esperimento ha confermato l'ipotesi, esiste senza dubbio una relazione biologica tra uomo e cane che influenza il nostro rapporto anche a livello fisico.

Per comprendere meglio questa particolarità tra due specie così diverse, dobbiamo guardare sicuramente all'evoluzione congiunta di entrambi nei secoli. A riprova di ciò, i ricercatori giapponesi hanno realizzato gli stessi esperimenti con lupi allevati in cattività con una alto grado di confidenza verso l'essere umano. In nessuno di questi test si è arrivato ad una variazione ormonale significativa come quelle avvenute con i cani.

Cani e lupi indubbiamente fanno un diverso uso del contatto visivo, ed in questi ultimi, anche se cresciuti ed abituati alla presenza umana, c'è infatti la tendenza a non cercare mai lo sguardo e quindi a non attivare nessun meccanismo biochimico legato all'affettività.

I risultati di queste ricerche unite anche agli studi del neuroscienziato Gregory Berns (UN AMORE DI CANE), ci fanno forse comprendere meglio il motivo per il quale i nostri amici pelosi riescono ad entrare facilmente in sintonia  con problematiche legate all'autismo, stati depressivi o disturbi post-traumatici e le implicazioni future saranno sicuramente utilizzate per migliorare queste ed altre relazioni uomo/cane.

Se ci pensiamo, in tutti questi millenni, grazie al lento processo di addomesticamento, abbiamo imparato a collaborare con i nostri fidi compagni a tal punto da cosiderarli "naturalmente" parte del nostro tessuto socio-familiare; considerarli della famiglia non dovrebbe essere quindi moralmente sbagliato in quanto la scienza stessa ci dimostra, che il nostro stupendo rapporto riesce ad influenzarci ad un livello di profondità quasi insospettabile...una vera e propria reazione chimica che genera inesorabilmente felicità, legata a doppio filo al sentimento più bello e puro del mondo: l'amore.


 

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